Il recovery
Le malattie mentali gravi come la schizofrenia, i disturbi dello spettro psicotico, il disturbo bipolare o la depressione maggiore presentano dei caratteri di sostanziale cronicità, accompagnandosi solitamente ad una marcata compromissione del funzionamento psicosociale della persona, ad un ritiro sociale ed all’appiattimento dell’affettività. Inoltre si caratterizzano per la presenza persistente ed invalidante di sintomi come i disturbi del pensiero, le compulsioni ed un basso livello nel funzionamento cognitivo. L’insieme di queste disabilità incide in maniera significativa sullo svolgimento delle attività quotidiane e sulla qualità della vita della persona.
Quello che colpisce maggiormente è che mentre le disabilità correlate a molte malattie croniche di tipo fisico, come per esempio l’ictus o la cardiopatia, sono culturalmente più accettate, per quanto riguarda la malattia mentale permane ancora un certo atteggiamento stigmatizzante ed un generale senso di sfiducia sulle possibilità di adattamento all’ambiente delle persone che ne sono affette.
Un nuovo approccio scientifico per la riabilitazione psichiatrica è quello del recovery, di cui Robert Paul Liberman è uno dei maggiori esponenti e sostenitori. Il termine recovery, non facilmente traducibile in italiano, si riferisce ad un processo trasformativo che tende al superamento delle disabilità correlate alla patologia mentale. Questo orientamento è quindi lontano da posizioni ideologiche rispetto al tema della guarigione, tendendo invece a sottolineare e rinforzare le risorse dell’individuo. Ci si riferisce a quest’ultimo concetto con il termine di empowerment.
Il processo di recovery deve necessariamente comprendere tutti gli attori coinvolti nel processo di cura: la famiglia, l’equipe curante (psichiatra, psicologi, assistenti sociali, job coach per il reinserimento lavorativo), i servizi di salute mentale e tutta la realtà territoriale. Per coordinare i vari interventi che si rendano necessari, sta lentamente emergendo anche nel contesto italiano la figura del case manager, il cui compito è quello di integrare gli apporti dei vari professionisti coinvolti nella cura. Il recovery non è un processo lineare, ma può presentare momenti di arresto e ripetute ricadute. Secondo Liberman per essere considerata in una condizione di recovery, una persona con una malattia mentale grave dovrebbe presentare durante gli ultimi due anni: una remissione prolungata dai sintomi caratteristici della diagnosi, che possono continuare ad essere presenti a livello non clinico; il coinvolgimento a tempo pieno o parziale in attività costruttive e produttive, come il lavoro o la scuola; una vita non dipendente dalla supervisione della famiglia o dei curanti, in modo che la persona sia responsabile delle attività quotidiane e della gestione dei farmaci; buoni rapporti con la famiglia; essere coinvolto in attività ricreative in contesti normali e che prevedano il rispetto di regole; relazioni soddisfacenti con amici e la capacità di mantenere una rete di conoscenti.
Si vede chiaramente come questo orientamento scientifico abbia come obiettivo primario un buon funzionamento psicosociale della persona. Inoltre l’autore ritiene che problemi oggettivi come la difficoltà a trovare un alloggio, abbiano un peso determinante nel favorire il processo che porta dalla disabilità e dalla malattia all’obiettivo del recovery. In questo senso vanno incrementati gli sforzi, sia a livello politico che assistenziale, per trovare delle soluzioni abitative adeguate e sufficientemente supportate.
Alla base del recovery vi è una efficace riabilitazione psichiatrica che, secondo Liberman, si deve basare su sette principi fondamentali: il recupero di una vita normale è possibile se vengono offerte le migliori pratiche riabilitative disponibili basate su prove scientifiche; la disabilità può essere superata se i trattamenti farmacologici e psicosociali si accompagnano ad adeguate politiche governative, fornendo sussidi e soluzioni abitative; i trattamenti devono essere individualizzati e modulati sugli obiettivi della persona; la riabilitazione è più efficace se la persona con malattia mentale e la sua famiglia vengono coinvolti attivamente nelle scelte terapeutiche; sono essenziali il coordinamento e l’integrazione degli interventi; è indispensabile costruire sui punti di forza della persona, sulle sue capacità ed interessi; la riabilitazione ha un andamento graduale, necessita di tempo e richiede pazienza e perseveranza.
In definitiva il recovery tende a restituire alla persona affetta da patologia mentale ed alla sua famiglia, ma anche al sistema curante, un senso di padronanza ed efficacia in quella grande impresa che è l’intervento con il disagio psichico grave.
Il recovery dalla disabilità. Manuale di riabilitazione psichiatrica. (2012) Giovanni Fioriti Editore, Roma.
Dott. Moretti Giuseppe - Psicologo Clinico
Sono uno Psicologo Clinico e di Comunità e Specialista in Psicologia della Salute. Albano Laziale (Castelli Romani) e Roma - Tel: 392.2524764
Social Profiles